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PRANAYAMA

Nell’Asthanga Yoga di Patanjali il Pranayama è messo al quarto posto dopo YamaNiyama e Asana. Questo significa che prima di intraprendere le tecniche del Pranayama, è bene aver armonizzato la propria vita con le leggi di Yama e Niyama (astinenze ed osservanze), ed essere esperti nelle Asana.

Pranayama è un termine che nel corso dei secoli ha avuto varie interpretazioni; ogni scuola di Yoga ha dato una sua spiegazione, esso infatti è tradotto spesso come “controllo del respiro”, o “controllo del Prana“, o “limitazione del Prana” o ancora “espansione del Prana“. In un certo senso tutte queste interpretazioni si possono considerare corrette.

Se noi scomponiamo il termine Pranayama in due parole distinte: Prana e Ayama, otteniamo “controllo del Prana“; questa è la traduzione usata dalla maggior parte delle scuole di Yoga.

La scuola  presso la quale io ho studiato, a mio parere dà una interpretazione più completa al termine Pranayama; essa scompone il termine in quattro sillabe: Pra Na Ya Ma, e per ogni sillaba dà una spiegazione completa del suo significato in modo da avere chiaro il concetto di Pranayama.

Secondo questa scuola la sillaba PRA rappresenta l’Assoluto nel suo stato di quiete, prima che un impulso creativo Lo spingesse a dar vita alla Manifestazione; la sillaba NA è la radice del termine Nada che significa suono o vibrazione, essa rappresenta la vibrazione emessa dall’atto volitivo della creazione, è con questa vibrazione che l’Universo è stato creato. Quindi con il termine Prana si intende quell’energia prodotta dal passaggio dallo stato di quiete a quello di attività. Infatti il Prana è l’energia vitale che è presente in tutta la Manifestazione, senza la quale l’Universo non esisterebbe.

La sillaba YA rappresenta tre livelli di coscienza: istintuale, emozionale e psichica. La sillaba MA significa me stesso.

Riassumendo: Pranayama significa il controllo e la limitazione dell’energia prodotta dall’Assoluto nell’atto della Creazione, sui miei tre livelli di coscienza, eseguito da me.

E’ lecito chiedersi: perché‚ limitare questa energia? La risposta è relativamente semplice; proviamo a raffigurarci l’Assoluto come uno specchio d’acqua immobile (PRA), se un sasso (impulso creativo) cadesse nel mezzo del laghetto produrrebbe immediatamente delle onde concentriche che si allontanerebbero sempre più dal centro, fino ad arrivare a riva (manifestazione).

L’energia che spinge queste onde la possiamo paragonare al Prana, che, nel caso specifico, assume il nome di Pranava (Energia in divenire), ovvero la sillaba AUM.

Se noi vogliamo sperimentare lo stato di PRA dobbiamo intraprendere un percorso che da riva (manifestazione) va verso il centro del laghetto (PRA) andando contro la forza centrifuga (PRANA) delle onde. Se noi riusciamo a calmare il Prana in noi, che si manifesta in energia vitale, pensieri, emozioni, desideri, azioni, ecc., riusciamo ad interiorizzarci ad un punto tale che è possibile raggiungere lo stato di PRA.

Detto in questi termini sembra facile, in realtà il percorso è lungo e faticoso. Per arrivare alla limitazione del Prana si deve passare per stadi differenti e graduali, il primo dei quali è la consapevolezza del Prana. Come possiamo controllarlo se non sappiamo come percepirlo?

Lo Yoga dice che noi traiamo forza vitale dal Prana che è presente negli alimenti e nell’aria che respiriamo. Nel corpo esistono dei ricettori del Prana che sono concentrati nella lingua e nel naso. Anche la pelle è un importante ricettore di Prana, e tutti hanno il compito di assimilare questa importante energia.

Il Prana che esiste negli alimenti viene assimilato, attraverso la masticazione, dalla lingua; gli Yogi affermano che finché il boccone che mastichiamo emana sapore, significa che c’è ancora Prana da assimilare, ecco perché è raccomandata una masticazione lenta e lunga.

Il Prana emanato dal sole verrebbe assimilato dalla pelle, la quale ha una superficie estesissima, se non fosse bloccata dai vestiti; ecco spiegato uno dei motivi per cui gli Yogi girano seminudi. Essi approfittano delle energie irradiate dal sole per caricarsi di Prana. Da noi girare nudi non è possibile, per cui appena possiamo esponiamo il nostro corpo ai raggi solari (per la verità oggi il sole è piuttosto pericoloso data la mancanza nell’atmosfera di uno schermo protettivo, che invece anni fa esisteva, per cui l’esposizione ai suoi raggi deve essere moderata e possibilmente eseguita di primo mattino).

Nonostante l’assimilazione di Prana attraverso gli alimenti e i raggi solari sia molto importante, gli Yogi concentrano la loro attenzione sull’assimilazione del Prana presente nell’aria attraverso la respirazione. Noi possiamo digiunare per lunghi periodi, ma se smettiamo di respirare anche per poco, moriamo.

In media noi respiriamo al ritmo di 18 inspirazioni ed espirazioni da un litro d’aria al minuto. Dal nostro naso passano nei due sensi circa 13000 litri d’aria nell’arco delle ventiquattro ore.

Non c’è dubbio quindi che l’aria sia il nostro principale alimento, la vita stessa.

Esiste inoltre una interazione tra respiro e mente. Se noi osserviamo il nostro respiro mentre siamo in uno stato di quiete, possiamo vedere che la nostra respirazione è addominale; quando siamo agitati, tesi, nervosi o in uno stato di ansia, la nostra respirazione è toracica e più veloce. Quindi uno stato emotivo può influenzare la nostra respirazione. Gli antichi Yogi, osservando questi fenomeni, scoprirono che era possibile il contrario e cioè la respirazione può influenzare uno stato emotivo.

Fu per questi motivi che gli antichi Yogi diedero grande importanza al respiro tanto da creare la scienza del Pranayama basata appunto sulla respirazione.

Più sopra chiedevo: come fare a controllare il Prana se non lo percepiamo? Il Pranayama ci fornisce tutte le tecniche necessarie per percepire e successivamente controllare il Prana.

Prima di accostarsi alle tecniche vere e proprie del Pranayama, occorre prendere coscienza del respiro. Per noi la respirazione è un fatto automatico, non ci rendiamo conto che stiamo respirando; è infatti il nostro sistema nervoso simpatico che si occupa di farci respirare agendo sul centro della respirazione che si trova nel cervello e precisamente nel midollo allungato. Con “presa di coscienza” del respiro si intende essere consapevoli che respiriamo, in che modo respiriamo (con l’addome, col torace, con la parte alta dei polmoni), di quanto è la durata dell’inspirazione e dell’espirazione, da quale narice respiriamo, ecc. A ciò si arriva attraverso un’attenta osservazione del nostro respiro.

In una posizione comoda, che ci permetta però di avere la schiena dritta, chiudiamo gli occhi e ci mettiamo ad osservare il respiro. Prima ascoltiamo il suono prodotto dal passaggio dell’aria nelle narici, poi proviamo a seguire l’aria che scende nella trachea fino ai polmoni e dai polmoni esce attraverso le narici.

Poi passiamo ad osservare che tipo di respirazione abbiamo: addominale, toracica o clavicolare.

Per capire meglio possiamo utilizzare le mani appoggiandole sull’addome o sul torace (Sparsha Mudra) e sentire la parte che si muove con la respirazione.

Proseguiamo l’osservazione del respiro con la misurazione dell’inspirazione e dell’espirazione; è più lunga l’inspirazione o l’esalazione? Osserviamo da quale narice respiriamo, osserviamo se abbiamo una respirazione fluida o se è a scatti. Non si deve avere fretta di cambiare esercizio, ma si deve procedere con calma.

Una volta acquisita la consapevolezza del respiro, si deve imparare a respirare in maniera corretta, e per questo utilizziamo tecniche respiratorie denominate Vayu Ayama che hanno anche lo scopo di aumentare la capacità respiratoria.

Raggiunta la padronanza di queste tecniche si può accedere al Pranayama.

Chi pratica Pranayama regolarmente attraverserà quattro livelli: il primo è denominato ARAMBA. Qui il Sadhaka (il praticante, colui che segue una Sadhana) ha un’abbondante sudorazione in tutto il corpo. C’è da precisare che in India, a causa del clima molto caldo, è facile sudare.

Qui da noi la sudorazione sarà più modesta.

Quando l’aria entra nei polmoni avviene uno scambio con il sangue: l’ossigeno presente nell’aria immessa si trasferisce nel sangue mentre l’anidride carbonica nel sangue passa nei polmoni che con l’esalazione viene espulsa. Questo scambio produce calore e quindi sudorazione. Sul piano metafisico la sudorazione è spiegata con la presa di coscienza di se stessi, di ciò che siamo (Ma).

Il secondo livello è denominato GHATAVASTA. Qui il Sadhaka sarà preso da forti tremiti. L’energia si muove con forza e Kundalini è stimolata. Sul piano metafisico i tremori sono dovuti alla visione del proprio Karma e alla consapevolezza dei tre stati di coscienza istintuale, emozionale e psichica (Ya).

Il terzo livello è denominato PARICHAYA. Qui il Sadhaka compie dei balzi involontari. L’energia si muove con forza verso l’alto. Qui si ha coscienza delle manifestazioni del Prana. Metafisicamente i salti sono spiegati come la conseguenza della lotta che il Sadhakacompie contro le proprie tendenze che producono Karma (Na).

Il quarto livello è denominato NISHPATTI. Qui il Sadhaka sperimenta la levitazione. Kundalini è risvegliata e si ha la totale liberazione dal Karma. Si è oltre la Manifestazione e oltre la mente nel Samadhi (Pra).

Quando la nostra respirazione è normale, si compone di due fasi respiratorie: inspirazione ed espirazione. Quando facciamo Pranayama aggiungiamo altre due fasi che sono la ritenzione a polmoni pieni e la ritenzione a polmoni vuoti. Nello Yoga queste quattro fasi sono chiamate: PURAKA (inspirazione), assorbiamo energia cosmica, PranaANTARA KUMBHAKA (ritenzione a polmoni pieni), rappresenta l’unione dell’Io individuale con l’Io Universale mantenendo il senso di separazione (Savikalpa Samadhi). RECHAKA (esalazione), rappresenta la resa dell’energia individuale, la resa dell’Anima all’Assoluto. BHAYA KUMBHAKA (ritenzione a polmoni vuoti), rappresenta l’unione dell’Io individuale con l’Io Universale senza senso di separazione (Nirvikalpa Samahdi).

Nel Pranayama vengono aggiunti anche dei ritmi che variano sia in proporzione che in estensione, ed ogni ritmo ha un particolare effetto sul corpo e sulla mente.

Durante la pratica del Pranayama è importante ricordarsi di non praticare mai a stomaco pieno, ma lasciar passare almeno due o tre ore, specialmente se si devono eseguire dei Kumbhaka molto estesi. Incominciare sempre una tecnica con le narici pulite. Lavorare sempre con la colonna vertebrale retta. Non avere fretta. Praticare giornalmente, con costanza sempre la stessa tecnica. Non arrivare mai a sentire stanchezza, se succede si deve smettere e riposarsi in Shava Asana. E’ bene avere sempre una bottiglia d’acqua a portata di mano, bere durante il Pranayama è importante.

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